Il colore delle pecore di Betlemme
Le questioni legate alla nascita di
Gesù
– dove, quando, come – hanno fatto versare fiumi di inchiostro, e la sorgente di questo fiume sembra ben lontano dall’essersi prosciugata.
Fra le tante questioni, oltre alla data, c’era anche quella della presenza o meno di pastori nei dintorni della piccola città in cui Giuseppe e Maria hanno trovato precario rifugio. Pastori all’aperto, di inverno, in una zona in cui le temperature possono essere rigide, e – a dicembre la neve cadere. Una risposta a questa questione, e una risposta suggestiva, oltre che basata su una ricerca acuta e ingegnosa, la da Michele Loconsole, studioso presidente dell’Enec, l’Associazione per le relazioni con il vicino Oriente.
Sostiene Loconsole, nel suo libro da poco uscito per i tipi della San Paolo “Quando è nato
Gesù
?”, che dall’esame di alcune fonti ebraiche, all’interno della tradizione religiosa ebraica venivano contemplati tre tipi di greggi. La prima categoria comprende animali dal vello bianco, senza nessun tipo di macchia o variazione di colore. E’ la categoria più apprezzata, e non solo dal punto di vista commerciale o estetico. Da un punto di vista religioso venivano considerate “pure”, e quindi dopo la giornata trascorsa al pascolo, potevano rientrare nell’ovile, che spesso – e questo era ancora più probabile nel caso di piccoli centri – era all’interno del villaggio o della cittadina.
Un secondo gruppo comprende le pecore il cui manto lanoso non è totalmente candido, ma è in parte bianco e in parte scuro. Anche a questi greggi erano concesso il rientro all’ovile, al calare della notte. Ma il loro luogo di ricovero doveva, ed era obbligatorio, collocarsi all’esterno del centro abitato; fuori delle mura cittadine, se la città era fortificata, e comunque all’esterno del perimetro urbano; o al massimo, in periferia.
E poi c’era una terza opzione. E cioè i greggi di pecore a vello scuro, se non completamente nero. E’ certamente una tipologia considerata dall’autore più rara delle due precedenti. E comunque, secondo le ricerche storiche di Loconsole, meritava un trattamento particolare. Era visto come un tipo di animali “impuro”; tanto impuro che non era consentito loro, dopo il tramonto, trovare rifugio né all’interno dei centri abitati, e nemmeno nelle zone periferiche. La loro esistenza, in base alle norma rabbiniche, doveva svolgersi all’aperto, in maniera permanente; e si può pensare che questo avvenisse in luoghi non lontani dai pascoli abituali. La loro sorte era di necessità condivisa dai pastori. Non era pensabile allora, né ora, abbandonare le greggi, anche se certo le notti sui colli del Medio Oriente, di inverno, possono essere tutt’altro che confortabili.
Quindi, se questa era la situazione nell’Israele dei tempi di
Gesù
, la presenza dei pastori nelle vicinanze della grotta e mangiatoia non era una invenzione (e poi perché? I pastori non davano certo particolare lustro all’evento) da parte del Vangelo di Luca.
Anzi. Se tutto quanto precede è ben fondato,e non ci sembra ci sia motivo di dubitarne, possiamo pensare che i pastori abbiano portato a salutare il Messia proprio le loro pecore nere. Il che è molto simpatico, e anche di grande coerenza rispetto alla futura missione di
Gesù
, che affermava di essere venuto per i malati, non per i sani, e che frequentava senza problemi le “pecore nere” della società ebraica dell’epoca, pubblicani e prostitute.
Michele Loconsole consiglia di colorare di nero le pecorelle dei nostri presepi, dal momento che è molto difficile reperire sul mercato le statuine degli ovini che secondo la sua ricerca hanno udito i primi vagiti del Salvatore. Si può poi dire che in realtà anche la presenza ei pastori, come primi testimoni dell’evento, rientra in questa logica. Anche i pastori erano considerati impuri, secondo Loconsole, nell’ebraismo dell’epoca, a causa del tipo di attività che svolgevano. E potremmo aggiungere che questo elemento fa parte dei dettagli assai poco “cosmetici” che danno un tocco di veridicità alle cronache dei Vangeli. Come la testimonianza delle donne (che non potevano essere ascoltate dai tribunali, e furono accolte con scetticismo anche dagli apostoli) al tempo della Resurrezione. I pastori non costituivano certo “testimonial” eccellenti per una predicazione che si rivolgeva a
ebrei
ortodossi nel I secolo dopo Cristo.
Ma fra le tante questioni legate – e dibattute – sulla nascita di
Gesù
, è quella della festa del “Sole invitto” e della tesi secondo cui il 25 dicembre è stato scelto dai cristiani per sovrapporre la festa della nascita del Signore a una celebrazione pagana. Ma Michele Loconsole nel suo libro cerca di sfatare questo stereotipo. “Alla luce dello studio delle fonti dell’epoca, sembra invece che sia accaduto esattamente il contrario.
E’ infatti la festa pagana del "Sole invitto" che è stata posta, o, ancora meglio, posposta al 25 dicembre, nel tentativo di oscurare o di sovrapporsi a quella cristiana del
Natale
del Signore”. Prima del 354 d.c., durante il regno di Licinio, la festa veniva celebrata a Roma il 19 dicembre. E si può aggiungere che quella festa astronomica, molto antica, era celebrata a Roma e altrove in diversi altri momenti dell’anno, fra cui spesso i giorni fra il 19 e il 22 ottobre.
La fonte più antica che parla del
Natale
fissato al 25 dicembre è Ippolito di Roma, che nel 204 riferiva della festa celebrata dai cristiani. Il culto del dio Sole fu introdotto a Roma dall’imperatore Eliogabalo, fra il 218 e il 222, ed è stato ufficializzato nel 274 dall’imperatore Aureliano, che il 25 dicembre di quell’anno consacrava il tempio dedicato al culto del Sol invictus. E dal momento che la festività del “Sole invitto” non veniva celebrata dai pagani solo il 25 dicembre, e che questa data si è imposta sulle altre soltanto nella seconda metà del IV secolo, “non nasce il legittimo dubbio che la festa del ‘Sole invitto’ nel calendario dell’Impero romano corrisponda alla precisa volontà, da parte dell’establishment, di soppiantare o perlomeno di oscurare la festa cristiana del
Natale
, certamente celebrata a Roma il 25 dicembre da almeno 70 anni prima?”.
di Marco Tosatti - http://vaticaninsider.lastampa.it